mercoledì 26 agosto 2015

DRI BIOHUB: PRIMO TRAPIANTO ESEGUITO CON SUCCESSO AL "DIABETES RESEARCH INSTITUTE" DI MIAMI

Dopo aver ricevuto la chiamata dal team che si occupa di Trapianti di Isole al Diabetes Research Institute di Miami, Wendy Peacock è diventata la prima paziente a partecipare ai trial clinici di fase I/II recentemente approvati dalla FDA con lo scopo di testare l'omento come nuovo sito di infusione per il BIOHUB, un mini organo bioingegnerizzato in grado di replicare perfettamente le funzioni di un pancreas sano per ristabilire la produzione naturale di insulina nelle persone affette da Diabete di Tipo 1.


In questa prima fase di trial clinici, i ricercatori valuteranno se l'omento risulterà un sito migliore per ospitare le isole trapiantate rispetto alla vena porta del fegato, sito tradizionale di trapianto da decenni. Le isole pancreatiche del donatore (cadavere) sono state impiantate usando uno scaffold biodegradabile formato dal plasma (la parte liquida del sangue che non contiene alcuna cellula) del paziente stesso in combinazione con l'enzima "Trombina".

Finora i risultati preliminari hanno mostrato che le isole pancreatiche impiantate nell'omento possono sopravvivere e funzionare per molto tempo. Questo trial clinico è un primo passo importante anche per individuare il sito ottimale d'impianto per il BioHub nel nostro corpo.

“Questo è stato il primo trapianto dove le isole pancreatiche sono state impiantate nell'omento, un tessuto altamente vascolarizzato che copre gli organi addominali, utilizzando uno scaffold biodegradabile. Il sito è facilmente accessibile tramite chirurgia mini-invasiva, e, a maggior ragione, presenta le stesse caratteristiche del pancreas per quanto riguarda l'afflusso di sangue e il drenaggio“, spiega il professor Camillo Ricordi, Direttore del DRI e Presidente della Stacy Joy Goodman, Professore di Medicina, Chirurgia, Ingegneria Biomedica, Microbiologia e Immunologia all’Università di Miami Miller School. Il Professor Ricordi è anche il Direttore del Programma dei Trapianti di Isole al DRI. “Questo è il primo trapianto di isole bioingegnerizzato che sfrutta uno scaffold biodegradabile impiantato sulla superficie dell'omento con lo scopo di minimizzare la risposta infiammatoria che invece si verifica puntualemente quando le isole pancreatiche vengono infuse nelle vena porta del fegato o in altri siti d'impianto dove c'è un contatto diretto col sangue. Evitare l’infiammazione si è dimostrato decisivo per ridurre al minimo i danno per le isole appena trapiantate, e siamo tutti davvero molto entusiasti riguardo le potenzialità di questo nuovo trial clinico”

Lo scaffold biodegradabile, una delle piattaforme del BioHub, come è stato accennato sopra, è formato dal proprio plasma con l'aggiunta dell'enzima trombina. Quando combinate, queste sostanze creano un materiale simile ad un gel che si attacca alle pareti dell'omento e tiene le isole ferme al loro posto. Col tempo, il corpo assorbirà il gel, lasciando intatte le isole, mentre allo stesso tempo si formeranno nuovi vasi sanguigni per fornire ossigeno e tutti gli altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule. Questo studio pilota includerà la terapia immunosoppressiva attualmente utilizzata per gli studi clinici nel trapianto di isole e includerà solamente un piccolo gruppo di partecipanti.

“L’obiettivo di questa primo trial è dimostrare che le isole pancreatiche potranno funzionare in modo più efficace in questo nuovo sito di trapianto, ma allora stesso tempo dobbiamo anche dimostrare la sicurezza di tale operazione che è fondamentale per tutti noi, dato che prima viene la sicurezza, poi l’efficacia secondo la scala delle priorità”, aggiunge Rodolfo Alejandro, MD, Professore di Medicina e Direttore del Programma dei Trapianto di Isole al DRI . “Ci auguriamo che nell'omento, dove i vasi sanguigni non mancano, l'ottima vascolarizzazione contribuisca ad una lunga sopravvivenza delle isole trapiantate, ed inoltre speriamo di riuscire a dimostrare come questo nuovo sito potrà rappresentare un’alternativa sicura da prendere in considerazione anche per progetti futuri relativi al BioHub “.

Nel diabete di tipo 1, le cellule beta produttrici di insulina del pancreas sono state erroneamente distrutte dal sistema immunitario, al punto che i pazienti sono costretti a seguire quotidianamente una terapia insulinica per tenere sotto controllo la glicemia. Il trapianto di isole ha permesso ad alcuni pazienti di vivere liberamente senza più ricorrere alle iniezioni di insulina. Ad oggi alcuni pazienti che si sono sottoposti ad un trapianto di isole sono insulino indipendenti addirittura da più di un decennio, secondo le pubblicazione da parte dei ricercatori del DRI.

Attualmente le isole pancreatiche vengono infuse nel fegato, ma gran parte delle cellule non riesce a sopravvivere molto a lungo in questo ambiente a causa della scarsa ossigenazione e delle reazioni infiammatorie. “Il fegato è un sito molto semplice da raggiungere, ma abbiamo capito da anni che non rappresenta l'area ideale per effettuare un trapianto di isole. Inoltre il fegato non è in grado di ospitare un dispositivo che racchiuda e protegga le isole pancreatiche”, ha spiegato il Dr. Alejandro.

“La prima cosa da dimostrare è che questo trapianto possa funzionare e che l'omento sia efficace come il fegato per quanto riguarda il sito d'impianto" spiega il Professor Ricordi. “In tal caso aggiungeremo tutte le altre componenti in grado di favorire lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni, ossigenazione, protezione delle cellule e altri agenti che ci permetteranno di ridurre ed eventualmente eliminare la terapia immunosoppressiva, che è il nostro obiettivo finale per una cura biologica.”

Il BioHub è il frutto della convergenza di molteplici tecnologie mirate a ristabilire il funzionamento beta-cellulare in pazienti con diabete. Il nome, infatti, deriva dalla combinazione dei termini "Biologico" e "Connessione" (Hub), che definisce una piattaforma tecnologica su cui integrare differenti componenti per ottenere l’obiettivo finale di una soluzione biologica (cioè, mediante il trapianto di cellule secernenti insulina) al trattamento ed eventualmente cura del diabete.


Le aree su cui sta lavorando il Diabetes Research Institute (DRI) di Miami, i Centri che fanno parte della “Diabetes Research Institute Federation” e la “Cure Alliance” sono mirate a superare le limitazioni al successo del trapianto di isole emerse negli ultimi tre decenni e che in combinazione possano portare ad una soluzione biologica definitiva per il Diabete di Tipo 1:
  1. Modulazione dell’immunità con nuovi protocolli sistemici e locoregionali più efficaci e sicuri che permettano di ottenere una funzionalità del trapianto a lungo termine e che promuovano l’induzione di tolleranza immunitaria (eliminazione di autoimmunità e rigetto) senza necessità di immunoterapia a vita.
  2. Sviluppo di siti di impianto ingegnerizzati che favoriscano attecchimento e funzionalità a lungo termine delle isole trapiantate.
  3. Sviluppo di membrane ultrasottili (idrogel) in grado di fornire immunoisolamento alle isole preservando la diffusione di ossigeno e nutrienti.
  4. Il BioHub rappresenta inoltre una piattaforma ideale su cui integrare l’uso di cellule insulari ingegnerizzate mediate metodiche di rigenerazione cellulare (cellule staminali, riprogrammazione di tessuti, cellule animali, ecc.) per ottenere quantità illimitate di cellule secernenti insulina e per far fronte alle attuali limitazioni dovute alla scarsità di pancreas umani per trapianto.
  5.  
DOMANDE FREQUENTI:

1) Il trial sperimenterà il BioHub?

Si tratta di un trial che intende sperimentare l'efficacia di un nuovo sito per il posizionamento delle isole trapiantate, in questo caso il grande omento. Sperimenterà allo stesso tempo una delle piattaforme considerate parte del progetto BioHub.

2) Quali sono i requisiti per accedere al trial?
  • Età compresa tra i 18 e i 60 anni
  • Più di 5 anni di Diabete di Tipo 1 alle spalle
  • Hypoglycemia Unawareness: ovvero l'insensibilità alle ipoglicemie
3) Si dovranno assumere farmaci immunosoppressori?

Sì. L'obiettivo del DRI è di eliminare l'uso di questi farmaci, ma il primo trial ha lo scopo di testare l'omento come nuovo sito per la localizzazione dell'impianto. Al fine di comparare il grande omento con gli altri siti utilizzati in precedenza, i ricercatori devono limitare le variabili per non confondere i risultati. Di conseguenza, all'inizio utilizzeranno gli stessi immunosoppressori e le stesse procedure usate negli studi precedenti.

4) I volontari riceveranno tutti lo stesso trattamento o sarà coinvolto anche un gruppo di controllo con placebo?

Ogni volontario riceverà lo stesso trattamento come indicato nel protocollo. I trapianti di organi e tessuti non usano le procedure degli studi placebo-controllati. La comparazione viene fatta con altri trial effettuati in precedenza.
Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Bibliografia:
http://med.miami.edu/news/diabetes-research-institute-successfully-transplants-first-patient-in-pilot
http://www.diabetesresearch.org/DRItv
http://www.diabetesresearch.org/biohub
http://www.diabetesresearch.org/BioHub-FAQ
https://www.diabetesresearch.org/pilottrial
http://www.prnewswire.com/news-releases/diabetes-research-institute-successfully-transplants-first-patient-in-pilot-biohub-trial-300133221.html
http://www.portalediabete.org/ricerca/2799-intervista-al-prof-antonello-pileggi-sul-biohub-qquantum-leapq-verso-la-cura



sabato 15 agosto 2015

CAMBIAMO NOME AL DIABETE?

Questa famosa PETIZIONE è stata lanciata circa un paio di anni fa da due mamme americane con lo scopo di RINOMINARE e DISTINGUERE (almeno nel nome) le 2 forme di DIABETE più diffuse: TIPO 1 e TIPO 2.


La PETIZIONE si pone 4 OBIETTIVI principali:

1) evitare la confusione tra le 2 malattie (completamente diverse dall'eziologia al trattamento) all'interno della società in modo che il paziente sia più tutelato, meno discriminato e non costretto ad esse
re etichettato attraverso luoghi comuni in ogni ambito (media, ospedali, scuole, sport, ecc.);

2) limitare una volta per tutte i falsi miti riguardo le 2 patologie;

3) facilitare le attività di awareness e raccolta fondi (che non possono essere comuni dato che gli obiettivi sono totalmente diversi!) mirate a soddisfare le diverse esigenze specifiche di ogni malattia;

4) consentire una relazione più armoniosa tra le 2 comunità.


Finora sono state raccolte più di 13.000 firme a livello mondiale; nel caso qualcuno fosse interessato alla causa, ecco il link specifico per aderire e supportare la petizione gratuitamente: https://www.change.org/p/revise-names-of-type-1-2-diabetes-to-reflect-the-nature-of-each-disease

FUNIVIE DI CARTA

Caro Babbo Natale

dopo circa 80.000 buchi tra iniezioni e stick ho deciso di scriverti di nuovo una lettera. La tematica che sto per affrontare dovresti conoscerla molto bene visto che dalle tue parti il DIABETE di Tipo 1 è considerato come una vera e propria specialità della casa. Quello che desiderei per il 2014 è un bene immateriale che non posso né voglio nominare per scaramanzia, in compenso ti darò una serie di indizi:

1) la prima delle due parole termina con "ura"; 

2) ora escluderò altri 4 termini legati al diabete che sono già anche troppo presenti nella mia vita quindi per favore non regalarmeli di nuovo: paURA, tortURA, rottURA e puntURA;

3) un'armatURA magari mi farebbe comodo in modo da evitare altri attacchi (stavolta non autoimmuni) dall'esterno, una cintURA forse sarebbe l'ideale per legare, strangolare e abbandonare il diabete in un SITO isolato, una vettURA utile per investirlo in dirittURA d'arrivo in modo che ci lasci addirittURA le PENNE! Purtroppo però nessuna delle parole di questa sequenza di rime può soddisfare il mio desiderio più grande perché questa malattia ad oggi è sia invisibile che invincibile. 

4) Così voglio lasciarti un ultimo indizio per guidarti verso la soluzione in modo che tu possa una volta per tutte decifrare la mia richiesta: dato che amo la neve e le montagne (tranne quelle "russe") il mio desiderio lo trovi espresso in due parole anagrammate dentro le "FUNIVIE DI CARTA"! 

Mi raccomando, cerca di fare il possibile per farmi trovare CHO la notte di Natale sopra il mio tavolo in legno DI ABETE! 















Pubblicato su Portale Diabete il 24 Dicembre 2013: 

http://www.portalediabete.org/esperienze/il-diabete-da-unaltra-prospettiva/3000-funivie-di-carta

mercoledì 12 agosto 2015

Una Maschera che Emette Luce Verde negli Occhi durante il Sonno Potrebbe Salvare la Vista a Molti Diabetici a Rischio Cecità

La retinopatia diabetica, una delle principali cause di perdita della vista nelle persone in età lavorativa nel Regno Unito, si verifica quando i livelli elevati di zucchero nel sangue danneggiano i vasi sanguigni nella retina.

La condizione fa sì che i vasi tendano a gonfiarsi e perdere fluido o chiudersi completamente, e provoca a volte vasi anomali a comparire sulla superficie della retina.

La maschera per gli occhi "Noctura 400", che i pazienti indossano di notte mentre dormono, emette una luce verde a basso livello attraverso le palpebre che imita la luce del giorno.

Anche se la luce inizialmente appare un po' invasiva, gli occhi si abituano rapidamente. La maschera interferisce con il processo di produzione da parte dell'occhio di nuovi vasi sanguigni quando fa buio.

Anche se questa crescita dei tessuti è utile per le persone senza diabete, in quelli con retinopatia diabetica aumenta la produzione di vasi sanguigni più piccoli soggette a danni e gonfiore che contribuiscono alla perdita della vista.

Fino ad ora, la retinopatia diabetica è stata trattata con il laser, che può contribuire a sigillare i vasi sanguigni rotti e distruggere quelli danneggiati.

Ma il 3% dei pazienti avvertono una certa perdita della visione periferica e più della metà avrà qualche difficoltà con visione notturna come un "effetto collaterale".

In circa un terzo dei pazienti, il trattamento non funziona affatto e questi pazienti possono andare avanti per avere iniezioni nell'occhio di un farmaco chiamato Lucentis.

Le iniezioni vengono effettuate in anestesia locale ad un costo di £ 1.000 ciascuna. Devono essere somministrate una volta al mese per almeno sei mesi, e nella maggior parte dei casi sono meno efficaci col passare del tempo.

Il Noctura 400 è attualmente in fase di valutazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale, e i trials clinici sono già in corso in diversi ospedali, tra cui Moorfields a Londra. Si prevede che questa tecnologia sarà disponibile per tutti i pazienti che ne hanno bisogno già dal prossimo anno.

Secondo il professor Ian Grierson, un fiduciario di Moorfields Eye Hospital e professore di oftalmologia presso l'Università di Liverpool coinvolto nelle numerose sperimentazioni di ricerca riguardanti la maschera, molte persone che attualmente traggono dei benefici dalla chirurgia laser potrebbero trovare ulteriori giovamenti dal nuovo dispositivo.

"Prevedo che verrà utilizzato come una difesa ulteriore per i pazienti che sono nelle fasi iniziali della retinopatia diabetica" dice "Gli occhi di pazienti diabetici sono strettamente monitorati attraverso verifiche annuali mirate a segnalare i primi stadi della retinopatia diabetica"

Il Noctura 400 potrebbe sostituire il trattamento laser corrente che non sta funzionando nel 3% dei pazienti.

La maschera sarà efficace nel momento in cui un oculista potrà vedere i cambiamenti nella parte posteriore dell'occhio del paziente, in tutti qui casi in cui certi pazienti potrebbero essere a rischio di perdita della vista, ma prima che il paziente noti un miglioramento per quanto riguarda la sua vista.

Il Professor Grierson crede che la maschera potrebbe anche essere usata come ultima risorsa nei i pazienti per i quali la terapia laser non ha funzionato e per quei pazienti che desiderano un'alternativa alle iniezioni spiacevoli.

Il diabete di tipo 1 si verifica quando il pancreas non riesce a produrre insulina, l'ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue. Può essere controllato con iniezioni di insulina regolare, ma se non trattato, l'iperglicemia può causare danni ai vasi piccoli, nervi e organi.

Una paziente con diabete di tipo 1, Ella Woodhouse di 22 anni, laureata in design di moda, ha iniziato a utilizzare la maschera la scorsa settimana dopo essersi sottoposta alla terapia laser e alle iniezioni.

La ragazza di Sheffield dice: "Durante l'adolescenza non ho assunto la mia insulina regolarmente come avrei dovuto. E questa non è stata una grande idea dato che avevo molte iperglicemie".

All'inizio di quest'anno ha iniziato a soffrire di visione offuscata e poi, ancora peggio, ha perso temporaneamente la vista in un occhio a causa dell'esplosione di un vaso sanguigno.

"Le iniezioni mi hanno aiutato e ho ritrovato la vista" dice. "Ma poi i miei genitori hanno trovato alcune informazioni su internet riguardo la mascherina e il mio oculista ha detto effettivamente che sarebbe il caso di provarla per prevenire ulteriori danni".

Ogni tre mesi per un anno, l'oculista monitorerà gli occhi per scoprire se la loro condizione è ulteriormente deteriorata.

Ella, che vuole diventare una stilista a Savile Row, ora sta assumendo i farmaci correttamente e dice: "Farò di tutto per evitare di perdere di nuovo la vista".



PolyPhotonix, l'azienda che ha inventato la maschera, sta anche cercando di iniziare la sperimentazione per il trattamento della degenerazione maculare dell'occhio dovuta all'età. Questo è causato anche dalla crescita di vasi sanguigni anomali sulla retina ed è il principale motivo per la perdita della vista negli anziani.

Il Professor Grierson aggiunge: "Speriamo che entro il prossimo anno il nostro sistema sanitario, non appena riceverà l'approvazione, potrà disporre di questa tecnologia. Inizialmente sarà per l'uso a lungo termine, ma in alcuni pazienti potrebbe essere d'aiuto anche indossarla per brevi periodi".

Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Fonte: http://www.dailymail.co.uk/news/article-2780765/Saved-diabetic-blindness-simply-sleeping-eye-mask-New-technology-save-thousands-Brits-facing-loss-sight.html

La Storia di Alonzo: Diabetico di Tipo 1 che ancora non si arrende dopo 18 Operazioni Chirurgiche

Questo articolo è stato scritto esclusivamente per il sito "Information About Diabetes" da Alfonzo Steward, un ragazzo dal reddito basso, diabetico di tipo 1 dall'età di 16 anni. In questo articolo Alonzo descrive la sua lotta raccontandoci la sua esperienza in casa di riposo e la forza di sopravvivere a ben 18 operazioni chirurgiche.


Avevo 16 anni quando mi è stato diagnosticato il diabete. Andavo spessissimo in bagno, bevevo molta acqua e mangiavo qualsiasi cosa mi trovassi davanti. La mia glicemia all'esordio era 875.

Sono stato portato all'ospedale pediatrico dove mi hanno somministrato una gran quantità di insulina per abbassare il livello di zucchero nel sangue. Successivamente ho dovuto seguire delle lezioni per una settimana. Sembrava che nessuno volesse aiutarmi, ma la realtà era che nessuno nella mia comunità conosceva davvero il diabete.

CERCANDO DI SOPRAVVIVERE

Essere sia povero che diabetico non era una affatto bella combinazione. Ero solito mangiare per strada, raccogliere cibi dalla spazzatura, elemosinare alimenti da una casa all'altra - solo per cercare di sopravvivere. Non ho avuto un vero e proprio percorso di crescita come gli altri ragazzi della mia età. E mentre gli anni passavano, cercavo di capire il diabete, nonostante non ci fosse molta disponibilità da parte delle persone che mi circondavano.

Il diabete ha iniziato ad essere un problema per me quando stavo diventando più grande. Facevo del mio meglio cercando di mangiare sano per tenerlo sotto controllo, ma non sapevo cucinare perché nessuno me l'aveva mai insegnato, così il mio cibo proveniva sempre dai fast food. Poi la tragedia: in un dito del mio piede sinistro mi hanno trovato un'infezione, così sono andato dal dottore per fare i raggi. C'era un puntino nell'osso, e quando i dottori l'hanno notato mi dissero che non mi avrebbero lasciato andare proprio da nessuna parte. I risultati confermarono che si trattava di MSRA (Staphylococcus aureus resistente alla meticillina). Il mio corpo era debole, e avevo bisogno di sottopormi ad un'operazione chirurgica il prima possibile perché stavo rischiando di morire.

I chirurghi non riuscirono a salvare il mio dito del piede; quindi non andò per niente bene. Mi dissero che l'amputazione era l'unica opzione, così non avevo altra scelta. Quando ho perso il mio dito del piede, le cose si complicarono ulteriormente perché mi ritrovai con una ferita di oltre 20 cm sul mio piede. Così dopo l'operazione, sono stato costretto a recarmi presso un altro ospedale. Mi sentivo ancora debole; non riuscivo a tenere in mano nulla. Avevo 27 anni al tempo, ma mi sentivo come se improvvisamente fossi tornato di nuovo un bambino. E' stato un periodo della mia vita davvero molto difficile, ma cercavo di tener duro il più possibile.

L'ospedale stava per dimettermi, così l'infermiera disse che mi avrebbe aiutato a cercare un posto dove vivere. Io le risposi che potevo tranquillamente tornarmene a casa mia, e lei ribatté: "Tu non hai una casa dove andare". Ero davvero sorpreso. Mi avevano trovato un posto dove vivere, nello specifico una casa di riposo. L'edificio era molto vecchio e in un luogo abbandonato. I pazienti non ricevevano mai ospiti ma in compenso erano soliti urlare come pazzi per tutta la notte. Era molto triste come ambiente.

COMBATTO ANCORA DOPO 18 OPERAZIONI

Durante gli ultimi 7 anni, mi sono sottoposto a 18 operazioni chirurgiche perdendo ossa in entrambi i piedi. Grazie a Dio riesco ancora a camminare ma sto ancora lottando contro il diabete.

Continua a combattere contro il diabete e non tirarti mai indietro. Qualsiasi cosa accada, tieni duro. Sto facendo tutto il possibile e spero che la mia storia ti aiuterà a farti sentire più forte. Che Dio ti benedica.

Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Fonte: http://www.informationaboutdiabetes.com/share/diabetes/type-1/still-fighting-after-18-surgeries-alfonzos-story

DONNA NEOZELANDESE DA RECORD: DIABETICA DI TIPO 1 DA 80 ANNI

Un donna neozelandese ha appena battuto un record: è la persona con più anni di diabete alle spalle nel mondo intero.

Win Johnston ha appena festeggiato i suoi 80 anni di vita con la sua malattia.

L'86enne neozelandese è riuscita a sfidare ogni probabilità.


All'età di 6 anni, alla signora Johnston è stato diagnosticato il diabete di tipo 1. Anche sua sorella (gemella) era diabetica, ma purtroppo è morta prematuramente all'età 16 anni proprio a causa della sua malattia.

A suo tempo le avevano detto che sarebbe stata fortunata se fosse arrivata all'età di 55 anni. I suoi medici avevano anche comunicato alla signora Johnston che non avrebbe mai potuto avere figli.
Ma lei invece ne ha avuti ben quattro, tra cui due gemelli, e nessuno di loro fortunatamente ha ereditato la sua malattia. Poi ci sono anche tutti i nipoti e pronipoti. La sua famiglia numerosa è una cosa di cui va molto orgogliosa insieme a tutti gli altri suoi successi.

La signora Johnston convive con il diabete di tipo 1 da ben 80 anni - un record riconosciuto dalla comunità diabetica internazionale.

La sua speranza è quella di essere un'ispirazione per tutti i 240.000 diabetici che vivono in Nuova Zelanda.

"Non c'è nessun segreto" dice "Giusto prendere la vita come viene affrontandola giorno per giorno ed essere consapevole riguardo ogni suo aspetto"

La signora Johnston è molto attenta nello svolgere un'attività fisica regolare, nel seguire una dieta bilanciata e nel dosare la sua insulina correttamente, il tutto accompagnato da un gran senso dell'umorismo che non stona affatto di fronte alla sua buona salute e al record appena battuto.

Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Fonte: http://www.3news.co.nz/nznews/diabetes-survivor-hits-record-80-years-2015040517#axzz3Xywv7b9D

lunedì 3 agosto 2015

Casa Farmaceutica Abbandona lo Studio su un Farmaco per il Diabete di Tipo 1

L'azienda produttrice "Hyperion Therapeutics" ha deciso di abbandonare il progetto di studio su un farmaco sul diabete di tipo 1 in seguito alle accuse di manipolazione dei dati dei trial clinici.

L'azienda biofarmaceutica ha annunciato di aver ufficialmente interrotto lo sviluppo del nuovo farmaco per il diabete di tipo 1, il DiaPep277, dopo che alcuni impiegati dell'azienda israeliana Andromeda Biotech (recentemente acquisita da Hyperion) sono stati accusati di condotta illegale e truffa.

Le prove mostrano come i membri dello staff dell'azienda sviluppatrice israeliana abbiano agito illegalmente nel ricevere dati non-ciechi dai trial clinici dello studio DIA-AID 1, per poi manipolarli in modo da ottere risultati a loro favorevoli.

Hyperion ha addirittura fornito ulteriori prove che ci testimoniano come l'azienda di biostatistiche e certi impiegati di Andromeda continuassero a condividere e analizzare dati non-ciechi del trial DIA-AID 2 ancora in corso.

Gli impiegati di Andromeda coinvolti sono stati sospesi da Hyperion, l'azienda americana che sta continuando la sua indagine, ma nel frattenmpo, è arrivata la  decisione di sospendere definitivamente lo studio e sviluppo del farmaco DiaPep277.


"Questa triste notizia non ci permette di proseguire il nostro studio sul farmaco" ha detto Donald Santel, presidente e capo esecutivo di Hyperion.

"Siamo increduli e amareggiati per questa condotta illegale finalizzata alla truffa da parte di certi impiegati di Andromeda, sia prima che in seguito alla chiusura della nostra transazione. Pazienti, medici e ricercatori coinvolti nei trials hanno perso anni della loro vita nella speranza di ottenere risultati onesti".


"Comunque abbiamo intenzione di mantenere i contatti con gli investigatori dei trial clinici per completare le sperimentazioni dello studio DIA-AID 2 visto che i dati raccolti potrebbero sempre risultare utili nello studio dell'eziologia del diabete di tipo 1. Tuttavia, quando i trials dello studio DIA-AID 2 saranno conclusi e una volta terminato il programma di investigazione per fare chiarezza sull'intera vicenda, non investiremo più nel DiaPep277 in futuro".

Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Fonte: http://www.diabetes.co.uk/news/2014/sep/pharmaceutical-company-ends-type-1-diabetes-drug-program-95722636.html

Pubblicazione Ufficiale ritirata: http://care.diabetesjournals.org/content/37/5/1392.abstract

domenica 2 agosto 2015

Perché dovrei chiedere aiuto ad uno psicologo specializzato nel diabete?

Quando dico alla gente che sono uno psicologo (e al tempo stesso diabetico di tipo 1) specializzato nel diabete, spesso la gente rimane incredula sul fatto che esista tale specializzazione. Non immaginate quante volte mi è stato chiesto "ma c'è proprio bisogno di tutto questo?" o "quanto sarà mai dura avere a che fare con il diabete?"

Non è un segreto per nessun diabetico che la convivenza con questa malattia può essere davvero difficile e che le sfide più dure sono spesso quelle mentali. Riflettiamo un secondo su questo punto: in un anno ci sono 8760 ore e se vediamo il nostro diabetologo solo una volta ogni 3 mesi in un appuntamento da 15 minuti, questo significa che nelle restanti 8759 ore dell'anno ci ritroviamo da soli a gestire la nostra malattia. In pratica dobbiamo prendere delle decisioni importanti (a volte può essere addirittura una questione di vita o di morte) riguardo la nostra salute da soli tante volte al giorno, tutti i giorni.


Per alcune persone questa responsabilità può diventare davvero molto pesante, frustrante e imbarazzante al punto che qualcuno arrivi perfino a smettere di controllarsi la glicemia o farsi insulina regolarmente. Inoltre, i diabetici devono anche convivere con diverse paure come l'ipoglicemia, le complicanze, i disturbi alimentari, ecc. (la lista è lunga). Quando parlo di questi aspetti ai miei colleghi, spesso mi dicono che non hanno proprio idea di quanto sia difficile gestire il diabete.

"Se sono diabetico e ho dei problemi, quand'è il caso di farsi aiutare?" Quando qualcuno mi pone questa domanda, rispondo che innanzitutto ci sono un paio di cose che prima dovrebbero chiedere a loro stessi:

1) Le tue difficoltà influiscono sulla tua gestione del diabete? Una delle ragioni più comuni per cui molti pazienti diabetici vengono da me è che si sentono frustrati e sconfitti dal diabete: ovviamente queste sensazioni complicano il tutto quando si tratta di controllarsi la glicemie o farsi l'insulina regolarmente.

2) Il diabete ha un impatto negativo sulle tue relazioni interpersonali? Ad esempio, le altre persone ti dicono che sono preoccupate per te o che non vogliono stare con te perché sei lunatico, intollerabile e strano?

3) Lo stress quotidiano delle gestione del diabete rende (più) difficile la realizzazione di certe cose che ritieni importanti nella vita?

Se qualcuno rispondesse SI ad almeno uno di questi 3 quesiti sarebbe una buona idea cercare un supporto psicologico.

La terapia psicologica non è uguale per tutte le persone diabetiche: se i tuoi problemi hanno a che fare con il diabete, allora è importante che il tuo psicoterapeuta conosca bene la malattia. Ad esempio, ho avuto in terapia dei pazienti diabetici che si facevano meno insulina del necessario per paura dell'ipoglicemia; molti miei colleghi non esperti di diabete potrebbero avere difficoltà nel comprendere questa problematica, mentre altri non saprebbero proprio come essere d'aiuto in questo caso particolare.


Molte persone si chiedono in cosa consista una seduta. La terapia psicologica non è una bacchetta magica, ma un duro lavoro che ti permette di indagare più a fondo sulle tue problematiche cercando di risolverle, il tutto svolto in un luogo sicuro dove il supporto di certo non manca. Uno psicoterapeuta cercherà di esserti d'aiuto nello sviluppo di certe abilità emotive affinché tu possa tollerare meglio le sfide tipiche che presenta la gestione del diabete, aiutandoti a risolvere le tue difficoltà e valutando come i tuoi problemi psicologici incidano sulla sfera emotiva e caratteriale. Io incoraggio sempre quelli che vengono da me ad incontrare altre persone diabetiche, sia nella vita reale che in quella virtuale, perché questa è un'ottima soluzione per ricevere supporto e sentirsi meno soli.

Se stai cercando uno psicoterapeuta specializzato nel diabete, la persona migliore da cui iniziare è il tuo diabetologo. Molte volte infatti sono loro stessi ad indicarti uno psicologo che sia anche esperto di diabete. Oppure è sempre possibile fare una breve ricerca online o chiedere a qualche tuo amico diabetico per un consiglio. Sfortunatamente, non ce ne sono molte di queste figure in giro, così nel caso fossi riuscito a trovarne uno che è stato in grado di aiutarti, non esitare a far sapere al tuo diabetologo o ai tuoi amici diabetici il nome del tuo psicoterapeuta.

In qualità di psicologo e diabetico di tipo 1 allo stesso tempo, anche io devo combattere le mie battaglie quotidiane: ad esempio spesso sono proprio i miei pazienti a ricordarmi che il mio diabete non scompare mai, nemmeno durante le sedute! Non sai quante volte ho dovuto tirar fuori il mio micro durante una sessione per correggere un'iper o staccarlo a causa di un'ipo segnalata dal mio sensore. Dato che tutti i miei pazienti hanno il diabete, cerco di usare questi momenti per far sapere loro che capisco alla perfezione con cosa hanno a che fare quotidianamente sperando sempre di essere un buon esempio per loro.

Il diabete a volte può essere davvero difficile da gestire: se non ce la fai da solo, devi sapere che in giro ci sono delle persone che possono aiutarti.

Riguardo l'AUTORE: Mark Heyman lavora come Psicologo ed è il Direttore del "Centro per il Diabete & Salute Mentale" (CDMH) a Solana Beach in California. Mark ha il Diabete di Tipo 1 dal 1999 e si è laureato in Psicologia alla George Washington University per poi specializzarsi alla UCSD School of Medicine.Medicine.

Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi

Fonte: http://insulinnation.com/living/should-you-go-to-a-diabetes-psychologist/

sabato 1 agosto 2015

10 FATTI STORICI SUL DIABETE CHE POTREBBERO INTERESSARTI

1) Il primo glucometro portatile fu realizzato nel 1969. Costava circa 650 dollari (equivalenti a 4.000 dollari di oggi) ma potevano usarlo solo i medici negli ospedali. Invece il primo glucometro portatile per uso domiciliare fu venduto in America nel 1981.


2) Richard Bernstein (foto a destra) fu la prima persona ad usare un glucometro portatile per controllare i suoi livelli di zucchero in maniera autonoma a casa sua. Al tempo era un ingegnere con diversi problemi di salute proprio a causa del suo diabete di tipo 1. Grazie a sua moglie, psichiatra, Bernstein riuscì ad ottenere un glucometro (al tempo era usato solo dai medici in ambito ospedaliero) e il suo controllo della malattia migliorò notevolmente. Cercò in tutti modi di pubblicizzare l'importanza dell'uso del glucometro a domicilio ma non riuscì a farsi ascoltare dalle riviste mediche che nemmeno pubblicarono i suoi studi, così a 43 anni decise di prendere una laurea in medicina, specializzarsi in endocrinologia e diventare un diabetologo.
 
3) Nauru, isola nel sud dell'Oceano Pacifico, è il Paese con la più alta percentuale (circa il 40%) di diabetici di tipo 2. E' il terzo stato più piccolo del mondo dopo Città del Vaticano e il Principato di   Monaco.



4) Il primo paziente ad essere trattato con insulina (di origine bovina) fu Leonard Thompson (foto a destra), che stava per morire al General Hospital di Toronto in Canada. Il ragazzino al tempo aveva solo 14 anni.

Ricevette la prima iniezione di insulina l'11 Gennaio del 1922.
Sfortunatamente l'insulina usata era contaminata così i dottori diederò a Thompson una seconda dose (stavolta efficace) 12 giorni dopo,
e la sua salute migliorò immediatamente.



5) Nella Clinica Medica di Roma, il professor Silvestro Silvestri (1883-1960) trattò con insulina un caso di coma diabetico per la prima volta in Italia nel Luglio del 1923.

6) Il primo testo scritto della storia con un probabile riferimento al diabete si trova all'interno del Papiro Egizio di Ebers risalente al 1500 A.C. dove vengono descritti chiaramente i sintomi classici dell'urinazione frequente.


7) Nel passato, quando ancora non esistevano né i glucometri né le strisce per misurare la glicosuria, i medici erano soliti diagnosticare il diabete assaggiando l'urina del paziente per vedere semplicemente se fosse dolce.

8) "Diabete" è una parola greca che significa "passare attraverso". Infatti già nell'antica Grecia si accorsero che l'urina "passava attraverso" i pazienti diabetici molto velocemente. Il termine "Mellito" deriva invece dal Latino e significa "dolce come il miele".




9) Il "Diabete di Tipo 1" e il "Diabete di Tipo 2" vennero ufficialmente differenziati nel 1936 anche se al tempo le due malattie venivano chiamate in maniera diversa rispetto alle definizioni odierne.

Tuttavia, la prima vera distinzione risale circa al 1700 quando un medico notò che alcuni pazienti diabetici morivano dopo circa un mese dalla comparsa dei primi sintomi (poliuria, polidipsia, perdita di peso, ecc.) mentre altri riuscivano a sopravvivere molto più a lungo.




10) Le definizioni "Tipo 1" e "Tipo 2" furono istituite ufficialmente nel 1997: in precedenza il Diabete di Tipo 1 veniva chiamato "Diabete Insulino Dipendente" o "Diabete Giovanile" mentre il Diabete di Tipo 2 veniva definito "Diabete Insulino Resistente" o "Diabete dell'Adulto".


Traduzione e adattamento di Alessandro Cecconi.

Bibliografia:
http://www.diabetesqld.org.au
http://www.diabeticconnect.com/
http://www.museodeldiabete.com/
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.idf.org/